CORTE DI APPELLO DI NAPOLI 
                      prima sezione civile bis 
 
    La Corte di Appello di Napoli, prima sezione civile bis,  riunita
in camera di consiglio nelle persone dei seguenti Magistrati: 
        dott. Fulvio Dacomo - Presidente; 
        dott. Michelangelo M. Petruzziello - Consigliere; 
        dott. Giovanni Galasso - Consigliere relatore. 
    Ha emesso la seguente: 
 
                              Ordinanza 
 
    nel procedimento  camerale  iscritto  al  n.  40/2017  del  Ruolo
Generale degli affari di volontaria giurisdizione avente  ad  oggetto
opposizione ex art. 5-ter l. 89/2001. 
    Promosso da De Martino Silvio, nato a Vico Equense  il  24  marzo
1958 (codice fiscale DMRSLV58C24L845Y), rappresentato  e  difeso,  in
virtu' di procura in calce al ricorso in opposizione ex art. 5-ter l.
89/2001,   dagli   avv.ti   Rosa   De   Martino    (codice    fiscale
DMRRS081C62L845X) e Luca Mascolo  (codice  fiscale  MSCLCU79D15L845P)
unitamente ai quali e elettivamente  domiciliato  in  San  Giorgio  a
Cremano, alla Via E. Gianturco  n.  30  presso  lo  studio  dell'avv.
Domenico Caccavale; 
    Opponente 
    Nei confronti di Ministero  dell'economia  e  delle  finanze,  in
persona del Ministro pro-tempore; 
    Opposto non costituito 
 
              Ragioni di fatto e motivi della decisione 
 
    Con ricorso depositato in data 6 dicembre 2016, De Martino Silvio
domandava l'equa riparazione  dei  danni  subiti  per  effetto  della
durata - superiore al termine ragionevole di cui all'art. 6 § 1 della
Convenzione  per  la  Salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali - del giudizio n. 12642/2004 R.G.  svoltosi  in
primo ed unico grado innanzi at  Tribunale  Amministrativo  Regionale
della Campania, introdotto con ricorso depositato il 24 novembre 2004
e conclusosi con la sentenza n. 3190/2015  depositata  il  12  giugno
2015 e' divenuta definitiva (come risulta dal certificato  depositato
dal ricorrente). 
    Con decreto del 7 dicembre 2016, depositato il 13 dicembre  2016,
il ricorso veniva dichiarato improponibile, «giusto  quanto  previsto
dall'art. 54, comma 2, del decreto-legge  25  giugno  2008,  n.  112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6  agosto  2008.  n.  133,
ancora applicabile al caso di specie  in  forza  di  quanto  previsto
dall'art.  6  comma  2-ter,  della  legge  89/2001»,  non  avendo  il
ricorrente  mai  formulato   istanza   di   prelievo   del   processo
amministrativo  in  relazione  al  quale  e  stata  domandata  l'equa
riparazione. 
    Avverso tale decreto ha proposto opposizione il De  Martino,  con
ricorso depositato l'11 gennaio 2017, deducendo che, con sentenza del
22-25 febbraio 2016 (Olivieri e altri c. Italia, ricorsi riuniti  nn.
17708/12, 17717/12, 17729/12, 22994/12), la Prima sezione della Corte
Europea dei Diritti dell'Uomo ha condannato, in  un  caso  analogo  a
quello  oggetto  del  presente  procedimento,  lo   Stato   Italiano,
osservando che «anche in caso di mancata  presentazione  dell'istanza
di prelievo, sussiste la violazione  dell'art.  6  della  convenzione
quando il processo amministrativo eccede la sua  ragionevole  durata»
in quanto tale strumento non costituisce una tutela efficace ai sensi
dell'art.  13  della  Convenzione,  tale  da  garantire   l'effettiva
accelerazione dei processi. A seguito  della  presentazione  istanza,
infatti, il Presidente del tribunale amministrativo regionale ha  una
facolta' e non un obbligo di anticipare la trattazione del processo. 
    Ha quindi sostenuto che dovrebbe farsi luogo alla disapplicazione
della norma interim per  contrasto  con  il  diritto  comunitario  e,
conseguentemente,  revocarsi  il  decreto  con  il  quale  e'   stata
dichiarata improcedibilita' del ricorso e riconoscersi l'indennizzo. 
    Il Ministero non si e' costituito. 
    All'udienza del 31 marzo 2017 la Corte si  e'  riservata  per  la
decisione. 
    Tanto premesso, occorre innanzi tutto evidenziare  che  non  puo'
farsi luogo alla disapplicazione del diritto  interno  richiesta  dal
ricorrente. Tale strada e' praticabile infatti esclusivamente in caso
di contrasto tra diritto nazionale e norme di diritto comunitario  di
immediata  applicazione  e  dunque   regolamenti   ovvero   direttive
cosiddette  self  executing  (cfr.  ex  multis  Corte  costituzionale
64/1990; Corte costituzionale 168/1991). 
    La natura della norma che si assume violata esclude pertanto gia'
di per  se'  tale  possibilita'.  A  cio'  deve  aggiungersi  che  la
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta'  fondamentali  non  puo'   comunque   ritenersi   pienamente
integrata net sistema del diritto comunitario. Non si ignora che, per
la prima volta, a seguito del  Trattato  di  Lisbona,  l'art.  6  del
Trattato sull'Unione Europea fa espresso  richiamo  alla  Convenzione
Europea per la Salvaguardia dei Diritti Umani, ma non  puo'  comunque
ritenersi che si tratti di una «comunitarizzazione»  tout  court.  E'
sufficiente  al  riguardo  osservare  che  la   norma,   nell'attuale
formulazione, prevede che «l'Unione aderisce alla Convenzione europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali. Tale adesione non modifica  le  competenze  dell'Unione
definite nei trattati. 
    I diritti fondamentali garantiti nella Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali  e
risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati  membri,
fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali». 
    Deve pertanto continuare ad affermarsi, come piu' volte  chiarito
dalla Corte costituzionale, che le norme  della  Convenzione  europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali non producono effetti diretti nell'ordinamento  interno,
ne costituiscono autonomi parametri  di  legittimita'  costituzionale
(su tale specifico aspetto, cfr. Corte  costituzionale  188/1980,  n.
315/1990, n. 388/1999) con la conseguenza che gli eventuali contrasti
con essa delle norme interne «non generano  problemi  di  successione
delle leggi nel tempo o  valutazioni  sulla  rispettiva  collocazione
gerarchica delle norme in contrasto,  ma  questioni  di  legittimita'
costituzionale, sicche'  il  giudice  comune  non  ha  il  potere  di
disapplicare la norma legislativa ordinaria ritenuta in contrasto con
una norma CEDU, presentandosi incompatibilita' tra le  due  come  una
questione di legittimita' costituzionale,  per  eventuale  violazione
dell'art. 117 primo comma, Cost., di esclusiva competenza del giudice
delle  leggi»  (C.  Cost.  348/2007;  nello   stesso   senso,   Corte
costituzionale 349/2007; per la giurisprudenza di legittimita'  cfr.,
recentemente, Cassazione SS.UU. 6891/2016). 
    Tanto chiarito, occorre verificare se, net caso di specie,  possa
sollevarsi questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  54,
comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, per  contrasto  con
gli articoli 117 comma 10 e  11  Cost.  e,  indirettamente,  con  gli
articoli 6 § 1 e 13 della Convenzione EDU. Al riguardo, deve  innanzi
tutto osservarsi che la  norma  in  questione  e'  stata  piu'  volte
modificata; nella formulazione originaria (risultante dalle modifiche
intervenute in sede di  conversione)  la  stessa  prevedeva  che  «La
domanda di equa riparazione non e proponibile se nel giudizio dinanzi
al giudice amministrativo in cui  si  assume  essersi  verificata  la
violazione di cui all'art. 2, comma I, della legge 24 marzo 2001,  n.
89, non e' stata presentata un'istanza ai  sensi  del  secondo  comma
dell'art. 51 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642». 
    A seguito delle modifiche  introdotte  con  l'art.  3,  comma  23
dell'allegato 4 del decreto legislativo 104/2010 il testo della norma
(applicabile ai processi amministrativi pendenti  alla  data  del  16
settembre 2010; cfr.  Cassazione  3740/2013,  Cassazione  16404/2016)
diventava  il  seguente:  «La  domanda  di  equa  riparazione  non  e
proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in  cui
si assume essersi verificata la violazione di cui all'art.  2,  comma
1, della legge 24 marzo 2001, n. 89, non e stata presentata l'istanza
di prelievo di cui all'art. 81. comma  I,  del  codice  del  processo
amministrativo, ne'  con  riguardo  al  periodo  anteriore  alla  sua
presentazione». 
    Successivamente, con decreto legislativo 195/2011 (art. 1 comma 3
lettera a) n. 6)), in vigore dall'8 dicembre 2011,  il  testo  veniva
modificato con la correzione del riferimento all'art. 71  del  codice
del processo amministrativo, in luogo di quello errato  all'art.  81:
«La domanda di equa riparazione non e  proponibile  se  nel  giudizio
dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata
la violazione di cui all'art. 2, comma 1, della legge 24 marzo  2001,
n. 89, non e stata presentata l'istanza di prelievo di  cui  all'art.
71, comma 2, del codice del processo amministrativo, ne con  riguardo
al periodo anteriore alla sua presentazione». 
    Come evidenziato, la modifica in vigore dall'8 dicembre  2011  ha
ad oggetto esclusivamente la correzione dell'errore  nell'indicazione
della  norma  del  codice  del  processo  amministrativo  riguardante
l'istanza di prelievo, ma non ha modificato la  previsione  in  forza
della quale, in mancanza  di  tale  istanza,  non  e  proponibile  la
domanda  di  equa  riparazione,  neppure  «con  riguardo  al  periodo
anteriore alla sua presentazione». 
    Peraltro,  secondo  la  giurisprudenza  di   legittimita',   tale
correzione non esclude che la norma in questione operasse fin dal  16
settembre 2010, giacche' il riferimento errato all'art.  81  comma  2
anziche' all'art. 71 comma 2 del codice del  processo  amministrativo
non era suscettibile di dar luogo ad equivoci (Cass. 19476/14). 
    Infine, l'art. 6 comma 2-bis l. 89/2001  introdotto  dall'art.  1
comma 777 lettera m) l. 208/2015 (che ha profondamente modificato  la
l. 89/2001), in vigore dal 10 gennaio 2016, ha disposto che «Il comma
2 dell' art. 54 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito,
con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato
dall'art. 3, comma 23,  dell'allegato  4  al  decreto  legislativo  2
luglio 2010, n. 104, si applica solo nei processi  amministrativi  la
cui durata al 31 ottobre 2016 ecceda i termini  di  cui  all'art.  2,
comma 2-bis». 
    Per i processi amministrativi pendenti alla data  di  entrata  in
vigore della l. 208/2015 (1/1/2016) per i quali la durata, alla  data
del 31 ottobre 2016, non ecceda i termini previsti dall'art. 2  comma
2-bis  l.  89/2001,  troveranno   applicazione,   invece,   ai   fini
dell'ammissibilita' della domanda, gli articoli 2, comma 1  e  1-ter,
comma 3 della l. 89/2001 come  stabilito  dall'art.  6,  comma  2-bis
della stessa legge. 
    Alla luce di quanto esposto, dunque, al  caso  di  specie,  trova
applicazione  l'art.  54  comma  2-bis  d.l.  112/2008  conv.  in  l.
133/2008,  come  modificato  dal  decreto  legislativo  104/2010   e,
successivamente  dal  d.lgs.  195/2011,   in   quanto   il   processo
amministrativo per il quale si chiede  l'equa  riparazione,  pendente
alla data del 16 settembre 2010, si e' concluso  il  12  giugno  2015
(cfr. anche Cassazione 16404/2016). 
    Tanto  chiarito  in  ordine   all'evoluzione   della   norma   ed
all'individuazione della versione applicabile al caso di specie,  nel
valutare il profilo della non manifesta infondatezza della  questione
occorre tener presente che, secondo la giurisprudenza costituzionale,
il contrasto tra le norme  interne  e  quelle  della  Convenzione  va
valutato alla luce  dell'interpretazione  fornita  dalla  Corte  EDU,
anche in considerazione dell'espressa previsione  dell'art.  32  §  1
della Convenzione stessa (cfr. oltre alle gia' citate sentenze n. 348
e 349/2007, le sentenze nn. 113, 181, 187, 236, 257 del 2011, 93  del
2010, 239 e 311 del 2009, 39 del 2008). 
    Sotto tale aspetto, non sembrano  esservi  dubbi  sul  fatto  che
l'art. 54, comma  2,  del  decreto-legge  25  giugno  2008,  n.  112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008,  n.  133  e
successivamente  modificato  dal  d.lgs.  104/2010  e   dal   decreto
legislativo 195/2011 cagioni un vulnus agli articoli  6  e  13  della
Convenzione, essendosi espressamente pronunciata sul punto  la  Corte
europea dei diritti dell'uomo nella sentenza 22 febbraio 2016  citata
dai ricorrenti. Ed infatti «La Corte  ha  dichiarato  nella  sentenza
Kudla (sopra citata, § 156) che «l'interpretazione corretta dell'art.
13 e che tale disposizione garantisce un ricorso effettivo dinanzi  a
un giudice nazionale  che  permette  di  lamentare  una  inosservanza
dell'obbligo imposto dall'art. 6 § 1 di esaminare le cause  entro  un
termine ragionevole». 
    50. A livello nazionale, e' la legge Pinto, n. 89  del  24  marzo
2001 che ha introdotto nel sistema  giuridico  italiano  una  via  di
ricorso risarcitorio contro la lunghezza eccessiva  dei  procedimenti
giudiziari. 
    51.  Per  quanto  riguarda  il  giudizio   dinanzi   al   giudice
amministrativo,  l'art.  54,  secondo  comma  del  decreto-legge   n.
112/2008 (convertito in legge n. 133  del  2008)  ha  introdotto  una
condizione di ammissibilita' del ricorso «Pinto». I  giudici  «Pinto»
possono essere aditi solo se la parte ricorrente ha  depositato,  nel
corso del procedimento in via principale, una  istanza  di  prelievo.
All'epoca dei fatti della presente causa tale  istanza  era  prevista
dall'art. 51 del regio decreto n. 642 del 17 agosto 1907. 
    52. Secondo la Corte, a partire dalla data di entrata  in  vigore
del decreto-legge n. 112 del  2008,  ossia  il  25  giugno  2008,  il
legislatore ha creato una nuova procedura per denunciare  l'eccessiva
durata del giudizio dinanzi al giudice amministrativo. Tale procedura
si compone di due fasi: una prima fase, che prevede la  presentazione
della cosiddetta istanza di prelievo nel corso del  giudizio  dinanzi
al giudice  amministrativo  e  che  costituisce  una  condizione  per
l'ammissibilita' del ricorso Pinto; una seconda fine, regolata  dalla
legge Pinto, che permette a chiunque di  presentare  una  domanda  di
equa soddisfazione presso la corte d'appello competente ratione loci. 
    53. Per quanto riguarda l'istanza di prelievo, la Corte  rammenta
che si e' trovata  varie  volte  a  giudicare  l'effettivita'  di  un
rimedio sollecitatorio (si vedano, tra molte altre, Xynos c.  Grecia,
n. 30226/09,  9  ottobre  2014;  Sürmeli  sopra  citata;  Lukenda  c.
Slovenia, n. 23032/02, CEDU 2005 X. Horvat c. Croazia,  n.  51585/99,
CEDU 2001 VIII). In particolare, ha riconosciuto  a  questo  tipo  di
ricorso un carattere «effettivo» in quanto permette di accelerare  la
decisione del giudice interessato. 
    54. Per quanto riguarda le presenti cause, il testo di legge  che
disciplinava l'istanza suddetta all'epoca dei fatti, ossia l'art.  51
del regio decreto n. 642  del  17  agosto  1907,  indicava  che  «nel
decreto di fissazione d'udienza il  presidente  (del  TAR)  puo',  ad
istanza di parte o d'ufficio, dichiarare il ricorso urgente». 
    55. In seguito all'entrata in  vigore  del  codice  di  procedura
amministrativa (decreto-legge n. 104 del 2010), la  nuova  disciplina
prevede, nel suo art. 71, che «la parte puo' segnalare l'urgenza  del
ricorso  depositando  istanza  di  prelievo».  L'art.  8,  comma   2,
dell'allegato n. 2 dello stesso codice stabilisce che «il  presidente
(del  TAR)  puo'  derogare  al  criterio  cronologico   per   ragioni
d'urgenza, anche tenendo conto  delle  istanze  di  prelievo,  o  per
esigenze di funzionalita' dell'ufficio,  ovvero  per  connessione  di
materia, nonche' in ogni caso in cui  il  Consiglio  di  Stato  abbia
annullato la sentenza o l'ordinanza e rinviato la causa al giudice di
primo grado». 
    56. La Corte osserva che il contenuto  dei  due  testi  di  legge
mostra che il presidente del tribunale  amministrativo  regionale  ha
una semplice facolta' di fissare la  data  dell'udienza.  In  secondo
luogo, l'istanza di prelievo e' considerata un criterio tra gli altri
previsti all'art. 8  dell'allegato  n.  2  del  codice  di  procedura
amministrativa. Infine, in assenza di  informazioni  del  Governo  al
riguardo, si deve  osservare  che  non  sembra  che  la  legislazione
nazionale abbia previsto delle modalita' precise per quanto  riguarda
l'esame dell'istanza in questione, in particolare sui criteri che  il
presidente del tribunale amministrativo regionale deve applicare  per
rigettare o  accogliere  l'istanza  e  le  conseguenze,  in  caso  di
decisione favorevole alla parte sullo svolgimento del procedimento». 
    Sulla base della giurisprudenza  della  Corte  di  Cassazione  in
materia di durata eccessiva dei giudizi amministrativi e della prassi
dei TAR, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha poi osservato  che
il tempo trascorso tra la presentazione dell'istanza e la  fissazione
dell'udienza  e'  estremamente  variabile,  oltre  che  assolutamente
aleatorio, e che non vi e' alcuna garanzia che l'istanza stessa venga
presa in esame. 
    Pertanto, ha concluso che la  presentazione  di  una  istanza  di
prelievo  non  ha  alcun  «effetto  significativo  sulla  durata  del
procedimento,  portando  alla  sua  accelerazione  o  impedendole  di
oltrepassare il limite di quanto possa essere considerato ragionevole
(si veda, a contrario, Holzinger (n. 1) c. Austria,  n.  23459/94,  §
22, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e
delle liberta' fondamentali 2001-I). Si deve pertanto concludere  che
l'esito di tale istanza e' aleatorio. 
    62. La Corte osserva anche che la nuova disposizione, in  assenza
di un regime  transitorio,  si  applica  automaticamente  a  tutti  i
ricorsi «Pinto»,  indipendentemente  dalla  durata  del  procedimento
amministrativo principale, il che obbliga le parti a moltiplicare  le
istanze volte a ottenere la conclusione di un processo la cui  durata
e gia' irragionevole. 
    (...) 
    64. Secondo la Corte,  la  condizione  di  ammissibilita'  di  un
ricorso «Pinto»  prevista  dall'art.  54,  comma  2  della  legge  n.
112/2008 risulta essere una condizione formale che produce  l'effetto
di ostacolare l'accesso alla procedura «Pinto».  Essa  considera  che
l'inammissibilita' automatica dei ricorsi «Pinto»), basata unicamente
sul  fatto  che  i  ricorrenti  non  hanno  presentato  l'istanza  di
prelievo, ha privato questi ultimi della possibilita' di ottenere una
ripartizione adeguata e sufficiente (si veda a  contrario  Misfud  c.
Francia (dec.) [GC]. n. 57220/00, § 16-17, Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali 2002
VIII). 
    65. Ad abundantiam,  la  Corte  osserva  che  il  legislatore  ha
modificato nel 2010 la disposizione contestata, confermando  i  dubbi
sollevati dalla Corte nella sua decisione Daddi (sopra citata). 
    66. Nella versione del testo  applicabile  alle  presenti  cause,
l'art. 54, comma 2, del decreto-legge n. 112 del 2008  prevedeva  che
una domanda di equa soddisfazione ai sensi della legge Pinto  potesse
essere presentata soltanto  se  la  parte  del  giudizio  dinanzi  al
giudice amministrativo aveva precedentemente depositato  una  istanza
di prelievo. Tale previsione lasciava aperta al giudice nazionale  la
possibilita' di includere, nel calcolo  della  durata  eccessiva,  il
periodo antecedente alla  data  di  entrata  in  vigore  della  norma
contestata. 
    67. In seguito, il decreto legislativo n. 104 del 2  luglio  2010
introduceva il codice  di  procedura  amministrativa  modificando  la
disposizione in questione. (...). 
    68. A tale proposito, la Corte ha  ritenuto  che  una  prassi  di
interpretazione e applicazione dell'art. 54, secondo comma, di  detto
decreto-legge che ha per effetto quello di opporsi all'ammissibilita'
dei  ricorsi  «Pinto»   relativi   alla   durata   di   un   processo
amministrativo conclusosi prima del 25 giugno 2008 solo in quanto non
e' stata presentata un'istanza di prelievo, potrebbe essere di natura
tale da esonerare i ricorrenti interessati dall'obbligo  di  esperire
il  ricorso  «Pinto».  Lo  stesso  varrebbe  per  quanto  riguarda  i
procedimenti  ancora  pendenti  in  cui   la   fissazione   d'urgenza
dell'udienza sia stata richiesta solo dopo l'entrata in vigore  della
disposizione in questione. In questi casi non si puo'  escludere  che
essa sia interpretata dai giudici nazionali nel  senso  di  escludere
dalla determinazione della durata soggetta  a  indennizzo  i  periodi
anteriori al 25 giugno 2008. Una tale prassi potrebbe infatti privare
sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilita' di
ottenere,   nell'ambito   «Pinto»,   una   riparazione   adeguata   e
sufficiente» (Daddi sopra citata). 
    69. Questa stessa conclusione si applica alla nuova  formulazione
dell'art. 54, comma  2  del  decreto-legge  n.  112  del  2008  (come
modificato dal decreto legislativo n. 104 del 2 luglio 2010). 
    70. La Corte ribadisce che l'art. 13 della Convenzione  si  fonda
sull'ipotesi che l'ordinamento interno offra un ricorso effettivo per
quanto riguarda la violazione dedotta (Selmouni sopra citata, § 74, e
Kudla sopra citata, § 152). Essa  rammenta  che  un  ricorso  di  cui
dispone la parte per lamentare l'eccessiva durata del procedimento e'
«effettivo», ai sensi dell'art. 13 della Convenzione, se permette  di
evitare che si verifichi o si protragga la violazione  dedotta  o  se
permette di «fornire all'interessato  una  riparazione  adeguata  per
tutte le violazioni che si siano gia' verificate» (ibidem § 158).  Il
che non e avvenuto nelle presenti cause. 
    71. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte  ritiene  che  la
procedura per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al
giudice amministrativo, risultante dalla lettura dell'art. 54,  comma
2 del decreto-legge n. 112 del 2008  in  combinato  disposto  con  la
legge Pinto, non possa essere considerata  un  ricorso  effettivo  ai
sensi dell'art. 13 della Convenzione. E' dunque  opportuno  rigettare
l'eccezione di mancato esaurimento sollevata dal Governo e concludere
che vi e' stata violazione dell'art. 13 della Convenzione». 
    E' evidente, quindi, come dalla sentenza in questione  si  ricavi
che l'art. 54, comma 2 del decreto-legge n. 112 del  2008  sia  prima
che dopo le modifiche introdotte con il decreto  legislativo  n.  104
del 2 luglio 2010 sia in contrasto con gli  articoli  13  e  6  della
Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti Umani. 
    Sul punto deve solo  aggiungersi  che,  in  considerazione  della
perentoria formulazione della  norma,  che  esclude  radicalmente  la
possibilita' di ottenere l'equa riparazione  per  l'eccessiva  durata
dei giudizi in caso di omessa presentazione dell'istanza di prelievo,
va esclusa la possibilita' di pervenire ad  un'interpretazione  della
stessa tale da garantire il  rispetto  dei  principi  sopra  esposti,
condizione necessaria, ad avviso della Corte costituzionale,  perche'
possa farsi luogo alla questione di legittimita' della norma  interna
(cfr. sentenze nn. 39 del 2008, 138 e 87 del 2010, 236, 113, 80  e  1
del 2011). 
    Deve  ancora  osservarsi  che  in  un'occasione  la  S.C.  (Cass.
26262/2013)  ha  riconosciuto  come   manifestamente   infondata   la
questione  di  legittimita'  costituzionale  della  norma  in  esame;
tuttavia, il profilo esaminato dalla Corte di Cassazione era  diverso
e riguardava il contrasto con gli articoli 24 e 111 Cost., dovuto  al
fatto che la norma  (nella  formulazione  successiva  alle  modifiche
introdotte con il decreto legislativo 104/2010) impedisce, in caso di
mancata  presentazione  dell'istanza,  l'ottenimento  dell'indennizzo
anche per la parte di giudizio svoltosi anteriormente al 16 settembre
2010. 
    Appare  dunque  non  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 54, comma 2  del  decreto-legge
n. 112 del 2008 come modificato dal d.lgs. 104/2010 e successivamente
dal decreto legislativo 195/2011 con gli articoli 117 comma 1°  e  11
Cost. (e, indirettamente con gli articoli 6 e 13  CEDU)  nei  termini
sopra indicati. 
    Venendo all'esame della rilevanza della questione con riguardo al
caso di specie, deve osservarsi che essa e in re ipsa, atteso che ove
si  facesse  applicazione   di   tale   norma   dovrebbe   rigettarsi
l'opposizione proposta dal De Martino, la cui  vicenda  assolutamente
sovrapponibile a quella sottoposta al vaglio della Corte  EDU.  Anzi,
nel caso di specie, troverebbe applicazione la norma  nella  versione
risultante dalla  modifica  introdotta  con  il  decreto  legislativo
104/2010, operante per i giudizi pendenti alla data del 16  settembre
2010, sicche' l'indennizzo risulterebbe escluso anche per il  periodo
anteriore,  laddove  nel   vigore   della   precedente   formulazione
precedente, si riteneva quanto meno salvo il diritto per  il  periodo
anteriore al 25 giugno 2008 (cfr. Cassazione  15303/2012;  Cassazione
5914/2012; 5317/2011). 
    Infine, neppure potrebbe escludersi che  la  norma  in  questione
trovi applicazione alla  vicenda  in  esame,  avendo  il  De  Martino
presentato in due occasioni (21  novembre  2004  e  17  maggio  2013)
istanza di fissazione di udienza; quest'ultima istanza,  infatti,  ha
natura e funzione differenti rispetto all'istanza di prelievo  e  non
e' dunque idonea a consentire la proponibilita' del ricorso per  equa
riparazione secondo le ripetute pronunce al riguardo rese dalla  S.C.
(Cassazione 25572/2010; Cassazione 780/2015; Cassazione 16404/2016). 
    Occorre pertanto sospendere il presente processo e rimettere  gli
atti alla  Corte  costituzionale  affinche'  sciolga  la  prospettata
questione incidentale di legittimita'  costituzionale  dell'art.  54,
comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112,  conv.  in  l.  6
agosto 2008, n. 133 come modificata dal decreto legislativo  104/2010
e, successivamente dal decreto legislativo 195/2011.